
Confini da Gauguin a Hopper
Canto con variazioni
Passariano di Codroipo (UD), Villa Manin, Esedra di Levante
11 Ottobre 2025 - 12 Aprile 2026
Passariano di Codroipo (UD), Villa Manin, Esedra di Levante
11 Ottobre 2025 - 12 Aprile 2026
C’è un quadro, di grande dimensione, di formato orizzontale, cercato e desiderato per dare il via al viaggio verso il confine. Per questo sarà il primo, isolato su una parete, che il visitatore vedrà appena entrato in mostra.
Un quadro che dalla parte della contemporaneità dà il senso di tutto, in immagine e pensiero. In questa vasta tela, il confine e tutti i confini. Il nome del suo autore è Anselm Kiefer, il grande artista tedesco nato a Donaueschingen nel 1945.
Mi è sembrato bello, essenziale, che a dare il via al viaggio, riassumendolo, fosse un pittore che vive il nostro tempo ma che senza dubbio ha fatto suo anche il passato, trasfigurandolo. E proprio da quel tempo romantico che, se dovessimo inquadrare didatticamente questa mostra, e lo volessimo fare in modo scolastico, sarebbe il primo in linea cronologica, sull’asse che tiene insieme almeno Friedrich e Turner, fino al Van Gogh da Kiefer tanto amato, come è evidentissimo in quest’opera.
Perché Kiefer si lascia ammantare dalla stessa forza cosmica del romanticismo, entro un’adesione panica alla realtà, in una quasi wagneriana immedesimazione nella potenza del tempo, nel suo distendersi e dilatarsi verso un confine.
Gli anni settanta di Kiefer, anni da cui proviene il Märkische Heide, la grande tela che dà il via a questa mostra, sono subito l’espressione di un rapporto continuo tra opposizioni, tra cui quelle fondamentali tra cielo e terra, tra luce e buio. Era un sentimento profondo, che si offriva come passo verso il confine dell’infinito.
Una meditazione sullo spazio che per via della sua partenza nella cultura romantica lo avvicinava appunto a Van Gogh, sulle cui immagini aveva fin da subito lavorato. Erano, dell’olandese, i campi con le strade che in mezzo al grano andavano a toccare il segno di un confine, la linea dell’orizzonte. Del resto, in questo quadro l’artista tedesco lascia che il paesaggio desolato di una brughiera si impenni fino al confine del cielo, entrandovi come una strada nell’aria.
Un’opera che, sommando la storia alla contemporaneità, sigilla in una sola istantanea il senso profondo di cosa sia confine. È insieme il franante ed eroico disporsi non soltanto davanti ma dentro l’immenso della terra e del cielo.
Superamento di una linea, in una materia incatramata fatta di emergenze e fiotti di luce. Mentre si crea un flusso, si crea una corrente che conduce verso quel confine che è il segno dato da Kiefer fin dal principio del viaggio, il viaggio dentro questa mostra. Un drappeggiare di lumi di tramonto entro cui si infila la strada, quando la sostanza degli opposti si annulla. È in una tela come questa che comprendiamo come il confine sia la sovrapposizione di un luogo fuori e dentro di noi, e per questo rappresenta l’inizio del percorso espositivo.
Facendo il paio, sulla parete di fronte, con uno degli ultimi quadri realizzati da un altro gigante del secondo Novecento, Mark Rothko. Dipinta pochi mesi prima della decisione di porre fine al suo viaggio su questa terra, questa tela fatta di nero e marrone, e di qualche barbaglio di luce che sembra scivolare entro un altro emisfero, dà perfetto il senso di cosa sia il confine interiore, ciò che si manifesta e ugualmente scompare. Un diverso orizzonte, nato dentro i lumi abbrunati di una lontananza che ha dentro di sé l’idea di andare incontro a ciò che di estremo segna la vita. È così che quel confine apparentemente imprendibile diventa invece il formarsi di una presenza.
Il parlare dello spazio interiore, del confine interiore, non può che evocare la figura dell’autoritratto ed ecco perché il terzo quadro che sigilla la prima parte della sala inaugurale della mostra è un Autoritratto di Vincent van Gogh. E non poteva essere diversamente data la presenza accanto del grande paesaggio di Kiefer che, come detto, alla vita franta del genio di Zundert si è sempre rivolto. Toccante e umanissimo sentirli e vederli così insieme.
Nello scarto che Van Gogh aveva impresso alla necessità di non puntare sull'esclusiva verosimiglianza nell’autoritratto, intendiamo subito la forza tellurica della modernità. Il volto diventa lo spazio dell’io e nello sprofondare dentro lo sguardo si apre il confine di un altrove.
Quindi dopo la diversa combinazione tra cielo e terra in Kiefer e in Rothko, e dopo il cielo interiore in Van Gogh, la seconda parte della prima sala della mostra si apre all’anticipazione dei veri e propri elementi naturali. Lo si fa con una celeberrima versione delle onde di Gustave Courbet, che mescola due dei tre elementi che formano il senso del confine in natura, il mare e il cielo.
A seguire, il confine ricondotto allo spazio contenuto di un giardino. Il miracolo che si manifesta in un luogo in cui il confine stesso accade come coltivazione di un cielo infinito nell’immagine di dalie o ninfee, ciò che sembrerebbe la negazione della spazialità ampia. Invece, il giardino contiene e si espande dalla brevità al cielo che sovrasta.
Un grande e bellissimo quadro con gli iris nel giardino di Giverny di Monet anticipa quella parte di mostra in cui sono protagonisti due giardini celebri nell’arte del XX secolo. Appunto il suo, universalmente noto, legato al romanzo delle ninfee, e quello di Emil Nolde a Seebüll, nel nord della Germania quasi al confine con la Danimarca. Dunque, in un’unica sala introduttiva soffierà immediatamente profonda l’emozione per cosa sono i confini in pittura.
Il confine nella sua accezione più riconosciuta ha quasi sempre a che fare con l’idea di un altrove, a cui senza dubbio Paul Gauguin ha dato immagine definitiva con il suo trasferimento agli antipodi. Ma non solo se si considerano il suo viaggio in Martinica nel 1887 e i ripetuti soggiorni in Bretagna. La fuga dalle città per incontrare un confine che fosse di spazio e interiore ha accomunato molti artisti nell’ultima parte del XIX secolo e nella prima del XX. La mostra ne incontra alcuni di straordinari, da Monet a Van Gogh, da Cezanne appunto a Gauguin, fino a Bonnard nel Novecento. E proprio un paesaggio provenzale di quest’ultimo, così debitore di Monet, farà da anticipazione a questo altrove tra il domestico e l’eroico.
Infine, in questa sala introduttiva a Edward Hopper è assegnato il compito di evidenziare ciò che è una parte assolutamente fondamentale del percorso espositivo, così centrale per l’idea del confine, e cioè le figure solitarie che verso quello stesso confine si tendono con il corpo e con lo sguardo. Molto in America, ma anche sul suolo europeo.
mostra a cura di
Marco Goldin
Passariano di Codroipo (UD), Villa Manin, Esedra di Levante
11 ottobre 2025 - 12 aprile 2026