Del novembre 1988 è una mostra, la terza nella lunga serie a Palazzo Sarcinelli, che apre la strada a quella che sarà la vera vocazione della sede espositiva e che soprattutto dà il via alla parte numericamente più ampia del suo lavoro di critico e curatore. Si tratta di una antologica di Alberto Gianquinto, pittore veneziano che si inserisce nella cosiddetta generazione di mezzo.
La sua attività critica, curatoriale e di scrittura, fino al 1997 si esercita massimamente proprio sulla pittura italiana del secondo Novecento, portando poco per volta la periferica sede coneglianese a diventare punto di riferimento nazionale in materia.
Sono svariate decine le mostre da lui curate e organizzate, e per le quali sempre scrive ampi cataloghi. Da un lato di autori, nati tra la fine degli anni venti e la metà degli anni trenta, che avevano largamente partecipato alle Biennali degli anni sessanta, settanta e ottanta. Dall’altro, di pittori invece della generazione successiva, i trentenni di allora. Cura quindi, dopo quella di Gianquinto, antologiche tra gli altri di Guarienti, Francese, Maselli, Clerici, Guccione, Ferroni, Forgioli, Savinio, Vallorz, Ossola, Sarnari, Vignozzi. Mentre sul versante della pittura giovane si occupa tra gli altri di Velasco, Frangi, Papetti, Lacasella, Pignatelli, Massagrande, Martinelli, Michielin, Verdi, Polizzi. Tutti autori che sapranno presto imporsi sulla scena nazionale.
Sono del 1995 due mostre che si pongono nel punto insieme di un discrimine e di un approfondimento del suo lavoro critico. Figure della pittura. Arte in Italia 1956/1968 è una vastissima ricognizione storica che per la prima volta nel suo lavoro tocca anche le ragioni della pittura astratta e informale. Ma è soprattutto Pittura come pittura, con il lunghissimo saggio che occupa l’intero catalogo edito da Electa per l’occasione, che sposta definitivamente il suo punto di vista critico. Nel desiderio di armonizzare, e mai più separare, le ragioni, spesso sovrapponibili, della pittura figurativa, astratta e informale. La scelta di dieci pittori proprio della generazione di mezzo, intende illustrare compiutamente questo percorso. E la mostra, da tutta la critica italiana da Tassi a Soavi a D’Amico, viene così interpretata e da allora sempre citata come punto di passaggio nel suo percorso di studio sul contemporaneo.
Nel 1996 una vicenda analoga gli toccherà per spiegare il suo amore per la giovane pittura italiana. Sotto il titolo Pitture, in due enormi volumi Electa, raccoglie quaranta artisti nati negli anni sessanta e settanta e che spaziano dalla più assoluta e mentale astrazione, quasi concettuale, fino alla figurazione più stringente. La mostra si svolge nella Casa dei Carraresi a Treviso ed è la prima organizzata da Linea d’ombra, appena fondata.
Da quel momento le antologiche da lui curate si succedono con ritmo serrato. Nel 1996 per esempio, quella che è rimasta la più grande esposizione (oltre 200 tra dipinti e pastelli) mai dedicata a Ennio Morlotti, il principale esponente dell’informale in Italia. Oppure, nel 1998, la prima mostra retrospettiva dedicata a Mario Schifano solo tre mesi dopo la morte, con la presenza di 160 dipinti storici da decine di collezioni private.
Contemporaneamente, sempre a Palazzo Sarcinelli, inizia anche il percorso dedicato ai migliori esponenti astratti e informali della generazione di mezzo, con le antologiche da lui curate per esempio su Bendini, Raciti, Verna, Strazza, Ruggeri, Olivieri, Lavagnino.
Al di fuori delle sedi trevigiane, Gorizia ospita nel 2003, sempre da lui curata, la mostra più ampia mai realizzata su uno tra i maggiori pittori del secondo Novecento in Europa, Zoran Music. Anche in questo caso con un catalogo di approfondimento che ospita, tra gli altri, saggi di Jean Clair e Kosme de Barañano.
Seppure ridimensionata numericamente per il lavoro dedicato, a partire dal 1998, alle esposizioni internazionali, ha continuato anche negli ultimi anni la sua attività critica riservata alla pittura contemporanea italiana, con molte esposizioni a Brescia, Villa Manin, Rimini, Genova, Bologna, Vicenza. Tornando talvolta su autori già al centro dei suoi interessi, ma anche proponendo riscoperte come quella di Arnoldo Ciarrocchi, pittore ma soprattutto insigne incisore marchigiano nato a inizio Novecento. Molto più spesso, nell’ultimo decennio, ha lavorato con alcune mostre sulla pittura italiana dei quarantenni, come per esempio i siciliani Puglisi e Zuccaro.
Ha curato anche molte mostre storiche, sia su particolari periodi che monografiche, sulla pittura italiana dei primi decenni del Novecento. Nel primo caso, per esempio, Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private, con l’esposizione tra gli altri di quadri provenienti da collezioni fino ad allora inaccessibili. Nel secondo caso, soprattutto tra il 2004 e il 2007 nel Museo di Santa Giulia a Brescia, dopo Gino Rossi ha curato esposizioni di Mafai, Francalancia, De Pisis, Licini, Pirandello.
Nel 2016, sono state tre le mostre curate da Marco Goldin e dedicate all’arte italiana del secolo scorso. Da Guttuso a Vedova a Schifano ha inteso seguire, nel Museo di Santa Caterina a Treviso, il filo della pittura italiana nel secondo Novecento con lo scopo di tracciare, attraverso 55 opere di altrettanti artisti, dal 1946 al 2000, un percorso che ha legato due generazioni di pittori, che vanno da Afro e Guttuso fino a Novelli e Schifano.
Un racconto che, solo per dire di alcuni, tiene insieme, perché stessi furono gli anni ed eguale la limpida tensione creativa, l’opera di Guttuso con quella di Afro, quella di Music con quella di Turcato. Oppure quella di Zigaina con quella di Tancredi, quella di Ferroni con quella di Vedova. O ancora, quella di Guccione con quella di Novelli, quella di Schifano con quella di Ruggeri.
Con De Pictura, allestita a Palazzo Giacomelli, magnifica sede di Unindustria a Treviso, Marco Goldin ha inteso riannodare le fila, a distanza di vent’anni, dell’indagine da lui avviata nel 1995 a Palazzo Sarcinelli di Conegliano con la mostra Pittura come pittura. Per quella esposizione aveva selezionato la presenza di Olivieri, Verna, Raciti, Lavagnino, Forgioli, Savinio, Sarnari, Guccione, Vignozzi e Ferroni. Tutti loro appartenenti alla cosiddetta “generazione di mezzo”, e scelti in quanto espressione qualitativamente esemplare del “fare pittura”. In questa occasione, si aggiungono le presenze di Ruggeri e Gianquinto, già invitati, ma alla fine non presenti a Palazzo Sarcinelli, e un omaggio al pittore siciliano Vincenzo Nucci, con gli ultimi cinque quadri dipinti prima della morte nel 2015.
Ode alla pittura è il titolo della seconda mostra, allestita a Conegliano in quel Palazzo Sarcinelli del quale Marco Goldin è stato direttore per quindici anni, dal 1988 al 2002, duranti i quali sono state da lui curate 75 mostre. In occasione del decennale della sua direzione, dunque nel 1998, aveva favorito una larga donazione di opere da parte degli artisti, donazione che è andata a formare la collezione permanente della sede pubblica coneglianese. Di quelle 200 opere totali, 109 sono state dunque scelte e allestite sulle pareti di Palazzo Sarcinelli per ricordare una cronaca che nel frattempo è diventata Storia, brano affatto secondario della cultura italiana a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio.