Testata

Da Picasso a Van Gogh

Storie di pittura dall'astrazione all'impressionismo. Capolavori dal Toledo Museum of Art

Treviso, Museo Santa Caterina
15 Novembre 2025 - 10 Maggio 2026

La mostra
Marco Goldin

Se guardo il principio e la fine del percorso della mostra, ci sono due quadri, già meravigliosi per sé stessi, che sigillano in una doppia immagine questo tendersi della bellezza da un punto a un altro punto. L’esposizione comincerà con una delle strepitose versioni degli Ocean Parks di Richard Diebenkorn, il numero 32 del 1970, nella sua assoluta e insieme atmosferica composizione fatta di giallo e azzurro. Come fosse quel giallo una sabbia davanti all’azzurro infinito dell’oceano Pacifico. La compattezza del cielo e della terra, nel loro pulsare all’unisono.

Richard Diebenkorn, Ocean Park #32, 1970
olio su tela, cm 236.2 x 205.7
Dono di David K. and Georgia E. Welles, inv. 2025.9 / © Richard Diebenkorn, by SIAE, 2025

E quasi un secolo prima, dall’altra parte del grande mare, a diecimila chilometri di distanza, un pittore aveva concluso la sua vita tuffandosi in un giallo diverso, l’immenso dei campi di grano a Auvers-sur-Oise, nel nord della Francia. Sotto l’azzurro di un cielo in cui si diffondeva il suono bianco di nuvole aggrovigliate. Vincent van Gogh, pochi giorni prima di morire, alla fine di luglio del 1890, ha dipinto il quadro struggente che sta a Toledo, e che si vedrà a Treviso.

Una delle ultimissime sue testimonianze di vita, con il falciatore che taglia il grano, attonito dentro quel vasto confine, e i primi covoni che sono ancoraggi per chi si perde dentro quel mare: “Per quanto mi riguarda, sono completamente immerso nella vasta natura con i campi di grano contro le colline, ampia come un mare, tutto sotto un cielo di un azzurro delicato e toni bianchi”. Fino a dichiararsi, nella stessa lettera a due settimane dallo sparo conclusivo, “preso da un sentimento che mi fa dipingere tutto ciò”.

Vincent van Gogh, Auvers, campi di grano con mietitore, 1890
olio su tela, cm 73,6 x 93
Acquistato con fondi del Libbey Endowment, dono di Edward Drummond Libbey, inv. 1935.4

Guardando e sfiorando questi due quadri, amandoli a tal punto, ho pensato che il viaggio avrebbe dovuto essere esattamente così. Dal poi al prima, in una inversione di tempo che potesse consegnarci una ancor maggiore conoscenza, una ancor maggiore emozione. Il giallo di Diebenkorn, sul finire del XX secolo. Il giallo di Van Gogh, sul finire del XIX secolo. L’azzurro di un oceano immaginato da quel pittore sul bordo della California. L’azzurro di un cielo tutto teso verso l’orizzonte in una campagna francese, mentre il pittore si consegna al tempo. Ho pensato che una mostra che inizia e che finisce così ha dentro di sé il segno del destino, e per questo vale la pena raccontare.

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C’è una cosa che mi ha sempre affascinato nella pittura americana dell’Ottocento e del Novecento, intesa nella sua forte associazione di sentimenti, ed è il senso profondo della continuità. Quello che puoi sentire battere alla porta del cuore quando guardi un paesaggio della valle dell’Hudson di Thomas Cole o una visione d’Atlantico sulla costa del Maine di Edwin Church, in pieno XIX secolo. E poi ritrovi tutto questo, certo sotto altre forme, prima in Homer e poi in Hopper, quindi in Rothko e in Diebenkorn. È quella vertigine dello spazio americano che fa diventare la natura, secondo la bella definizione di Claude Reichler, un “fatto antropologico totale”.

Quel vasto spazio che nei grandi pittori astratti diventa unicamente una cosa dello spirito, materia dell’interiorità. Nel rendere astratta la visione, si dimentica la realtà specifica dell’oggetto dipinto. Ciò che rimane è un colpo disteso di luce, un profumo, un odore sul mare, un suono. Nella più ampia azione sinestetica. Del resto, in uno dei suo Frammenti, Eraclito aveva detto così: “La trama nascosta è più forte di quella manifesta”.

Edward Hopper, Figure a teatro, 1927
olio su tela, cm 101.9 x 122.5
Acquistato con fondi del Libbey Endowment, dono di Edward Drummond Libbey, inv. 1935.49 / © Edward Hopper, by SIAE, 2025

Sembra essere proprio Richard Diebenkorn, nel suo continuo andirivieni tra figurativo e astratto, colui che meglio sigilla tale viaggio, nel rendere la memoria del vedere stupefacente pittura. Perché da ogni parte giunge la sorpresa del vedere, da ogni dove il silenzio e il suono della natura, il canto degli uccelli, la voce degli animali. Diventare - in questa pittura che a mano a mano sembra fare a meno del reale - forza e tempo. Non c’è prima né poi, ma solo la presenza dell’essere nel mondo. In questo, Edward Hopper aveva messo il suo tassello fondamentale, soprattutto quando, e il caso del famoso dipinto in mostra lo afferma con tutta la grandezza possibile, egli riempie di significazioni mute il luogo che apparentemente è del nulla, come questo teatro vuoto, che invece è abitato dal mistero.

Hopper lavora per dar vita a quel grumo inestricabile che fa del viaggio nell’interiorità il suo punto più alto. Sono stanze disadorne della psiche, illuminate dal sole della mente, o dalla penombra della sera giungente, nello spazio chiuso di una stanza o di un teatro. Hopper unisce quindi nella sua immagine la realtà con la visione. La sua dichiarazione del 1953 resta perfetta a fissare il campo d’azione: “La grande arte è espressione esteriore della vita interiore dell’artista e questa vita interiore si tradurrà nella sua personale visione del mondo. La vita interiore di un essere umano è un regno sconfinato e vario”.

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La mostra quindi si articolerà in successivi capitoli, o momenti, andando a ritroso nella storia dell’arte, partendo dall’astrazione americana del secondo Novecento. Per transitare poi ad alcune esperienze capitali dell’astrazione invece europea, da Ben Nicholson e Josef Albers fino a Piet Mondrian e Paul Klee, nel diverso loro appoggiarsi alle strutture della realtà tramutata in visioni e apparizioni.

Paul Klee, Ville per marionette, 1922
olio su cartone, cm 29.8 x 24.8
Dono di Thomas T. Solley, inv. 1996.15

Quando la pittura incrocerà il passaggio dal Novecento all’Ottocento, da lì in avanti, o meglio all’indietro, si entrerà nei tre grandi temi: la natura morta, le figure e i ritratti, i paesaggi. Nel primo caso, compariranno due tra i maggiori artisti che nel XX secolo si sono dedicati alla natura morta, come Giorgio Morandi e Georges Braque, mentre Henri Fantin-Latour e Camille Pissarro, nel pieno tempo della formazione del gruppo impressionista, diranno, e specialmente il primo, della raffinatezza cui questo tema conduceva i migliori tra i pittori.

Molto ampia sarà la sezione dedicata ai ritratti, alle figure e alle figure ambientate. Una galleria straordinaria di capolavori a partire da Matisse, Bonnard e Vuillard, con un gusto tra edonismo cromatico e simbolismo. Significativo poi il passaggio a Parigi negli anni venti e dieci, con i volti diversamente dipinti da De Chirico e Modigliani, e poi uno splendido ritratto cubista di Pablo Picasso del 1909.

Nell’ambito delle figure ambientate sarà tutto da scoprire l’amore degli impressionisti americani per quelli francesi, e lo si potrà cogliere perfettamente nella relazione tra la Colazione all’aria aperta di William Merritt Chase e i quadri di Berthe Morisot (Nel giardino a Maurecourt) e di Camille Pissarro (Contadine che si riposano). E andando ancora più indietro, il grande quadro di Courbet La ragazza con i fiori, poi il dipinto di Millet. Tre assoluti capi d’opera di Pierre-Auguste Renoir, e soprattutto di Edouard Manet (Antonin Proust) e Edgar Degas (Victoria Dubourg) danno valore spettacolare e assoluto a questa sezione.

Anche la parte dedicata al paesaggio, quella che chiuderà la mostra, ha i caratteri dell’eccezionalità. Dapprincipio con le visioni che alcuni pittori, in modo assai diverso l’uno dall’altro, dedicano a Venezia (Signac) o a Parigi (Delaunay e Léger), talvolta con tele anche di vaste dimensioni.

Robert Delaunay, La città di Parigi, 1911 circa
olio su tela, cm 119.4 x 172.7
Acquistato con fondi del Libbey Endowment, dono di Edward Drummond Libbey, inv. 1955.38

Ma così come nell’ambito del ritratto con Renoir, Manet e Degas l’impressionismo è rappresentato al suo livello più alto, la stessa cosa avviene con una sequenza strepitosa di paesaggi impressionisti e post-impressionisti. A occupare la scena, anche dal punto dell’enorme impatto visivo che avrà nello spazio del museo Santa Caterina, sarà una delle più belle versioni delle Ninfee di Claude Monet, questa dipinta nella fase conclusiva della sua vita. Poi una nuova relazione, questa volta legandosi all’immagine di una costa sul mare, tra Merritt Chase e un altro pittore francese impressionista, Gustave Caillebotte con il suo paesaggio a Trouville.

Gustave Caillebotte, Regate a Trouville, 1884
olio su tela, cm 60,3 x 73
dono della Wildenstein Foundation, inv. 1953.69

Ma poi una serie di capolavori, a cominciare da uno dei dipinti più significativi di Paul Gauguin nel suo primo, e incantevole, tempo a Tahiti, tra 1891 e 1893. Quindi quello che lo stesso Gauguin, come tanti altri, avevano eletto a loro modello e riferimento, Paul Cezanne, con il suo Sentiero a Chantilly, che raffigura sullo sfondo uno dei tanti villaggi cari a questo gruppo di pittori. Nomi di villaggi che tornano anche nelle visioni di Renoir (Strada a Wargemont), in questo caso in Normandia, o di Alfred Sisley (L’acquedotto a Marly), realizzato nell’anno stesso della prima mostra impressionista, il 1874.

Paul Cezanne, Sentiero a Chantilly, 1888
olio su tela, cm 81,3 x 64,8
Dono di Mr. e Mrs. William E. Levis, inv. 1959.13

Per chiudersi ogni cosa, nell’ultimo spazio della mostra, un’ultima parete isolata da tutto, con Auvers, campi di grano con falciatore in cui Vincent van Gogh, alla fine di luglio del 1890, dà il suo addio alla vita. Un’opera che rappresenta con tanto anticipo gli esiti di una modernità giungente e già da lui raggiunta, nell’incomprensione allora quasi totale.

Eppure sempre con la fiducia nel futuro, pur avendo deliberatamente scelto di non abbracciarlo quel futuro. Un quadro che nella sua assolutezza, nel suo essere grondante di colore e umanità, splendidamente rappresenta la qualità altissima delle opere custodite nel Toledo Museum of Art. Tra poco a Treviso.

mostra a cura di
Marco Goldin

Treviso, Museo Santa Caterina

15 novembre 2025 - 10 maggio 2026