3 luglio 2019
PICCOLO DIARIO PER GIACOMETTI - 1
di Marco Goldin
Dall'altra parte del lago rispetto al punto in cui sto scrivendo adesso con l'iPad sulle ginocchia, guardando l'acqua e le montagne, viveva Hermann Hesse, in alto. Scriveva e dipingeva acquerelli. Era la sua azzurra lontananza. E barche adesso vanno, con le bandiere rosso crociate in questo piccolo vento d'afa a Lugano. Sono passato da qui, per arrivare a Coira stasera. Sono passato da Lugano perché volevo entrare in Svizzera visitando subito una bella mostra che il MASI dedica ai capolavori dei pittori cantonali compresi nella collezione meravigliosa della Fondazione Gottfried Keller, quasi sconosciuta al di fuori dei loro confini. Ci volevo passare perché sapevo che vi avrei trovato quadri che mi avrebbero introdotto nel modo migliore, nel modo più giusto, ai luoghi di Alberto Giacometti che da domani camminerò.
Certo, c'è in mostra anche un bel busto di Annette scavato con le mani da Giacometti. Sta alla fine del percorso e dietro quel bronzo enigmatico, oltre le grandi vetrate, sta il lago nel suo precipitare verso le montagne. In questa luce che è grigia e azzurra insieme e poi sono grandi nembi aggrovigliati e gabbiani che ci volano dentro e attorno. Certo, c'è questa figura muta della moglie Annette, le grandi orbite che accolgono occhi che spalancati mirano. E la bocca socchiusa, silenziosa, i capelli raccolti, il collo slanciato. Certo, c'è questa figura di donna, ma di Giacometti parlerò da domani.
Qui ci sono tanti pittori svizzeri straordinari tra Ottocento e Novecento. Come Max Buri, che nel 1913 dipinge la figlia Hedwig quasi come una figura di Gauguin a Tahiti, nel suo abito di un blu oltremare e il collo bianco di pizzo. La pone con un mazzo di fiori gialli in mano, lo sguardo come di un'acqua chiara, i capelli neri con la riga in mezzo, le labbra carnose, l'immobilità della vita che non sai da quale parte si manifesti. Lei davanti alla bellezza del lago di Brienz, sotto le montagne. Sono passato da Lugano perché volevo arrivare stasera a Coira ricordando immagini che i pittori avevano realizzato dei paesaggi svizzeri.
Come il grandissimo Ferdinand Hodler, che ha qui uno dei suoi quadri meravigliosi della fine del XIX secolo, nel momento stesso in cui Munch dipinge la quasi inarrivabile luce del Nord e Gauguin la quasi inarrivabile luce dei Tropici. È in quel momento del tempo, in quel punto dello spazio, che Hodler alza il suo canto davanti al lago di Chexbres, in un'ansa fatta tutta d'erba prima che essa precipiti dolcemente in acque immobili, misteriose e segrete. Acque sulle quali poco per volta viene a galleggiare una luce di tramonto giungente che si diffonde prima nel cielo e poi insidia il lago, entro correnti che si dilatano e dilagano nei confini smarginati di un infinito visto qui in terra. Amo Hodler e la sua visione della natura e l'ho ringraziato per avermi fatto muovere i primi passi in Svizzera davanti a un suo quadro.
Poi però, sulla grande parete al centro della sala, emerge da un suo tempo senza tempo il maestoso "Trittico delle natura" di Giovanni Segantini. Una delle opere più belle che si possano ricordare nella pittura degli ultimi decenni dell'Ottocento. Se ne rimane una volta di più incantati, per quel senso di vastità e mistero, di appuntamento con il destino e i suoi simboli. Fatto tutto ciò di quella pittura filamentosa tramata di profumi e accadimenti della vita. Fatta soprattutto di innominabili silenzi. E sulla destra, l'ultima parte del Trittico, detta "La morte". Un quadro ipnotico, da cui non riesci a staccarti, dal quale ti allontani e verso il quale immediatamente ritorni. Il passo del Maloja tutto ricoperto di neve, ogni cosa ammantata, la natura nascosta ma visibile per sogni e segni. E sullo sfondo la valle Maroz. Persone vestite di nero per il lutto, una slitta trainata da un cavallo che aspetta nella neve di accogliere il corpo morto e portarlo via. E più lontani i picchi anch'essi coperti di neve, attraversati da una luce che quasi si specchia nell'immensa nuvola che parla nel cielo. Domani pomeriggio arriveremo al Maloja e allora saremo non solo nei posti di Segantini ma anche dove Alberto Giacometti trascorreva le sue estati. Una magia che si perpetua.
[Giovanni Segantini, La morte (dal Trittico della natura), 1896-1899 / St. Moritz, Segantini Museum]